UN ESTRATTO DELLA MIA VITA QUALE RIFLESSIONE SULLA TUA VITA E LA DECISIONE DI INIZIARE IL PERCORSO

Nasco nel lontano 1954, periodo post-bellico, sono gli anni della ricostruzione, della speranza, della voglia di unire le forze per ottenere benessere e felicità.

La mia famiglia, umile ma laboriosa, mamma proveniente da una famiglia contadina, era operaia in una industria dell’abbigliamento intimo; mio padre ex sottoufficiale della Regia Marina imbarcato sui sommergibili, congedato per la pressione esercitata da un suo zio nell’illusione di un lavoro immediato e di prestigio che non è mai arrivato.

Alla mia nascita i miei genitori, dopo un periodo travagliato per ottenere un alloggio tutto loro senza dividersi in due appartamenti in condivisione con altri familiari, ottengono un appartamento alla periferia sud ovest della città di Milano.

Lì ho avuto modo di sperimentare alcune situazioni che hanno influito sul mio essere.

La gestione dello spazio personale, del tempo e della identità come persona, influenzato da uno spazio piccolo per le 9 persone che alloggiavano; un solo bagno, un solo angolo cottura, un solo balcone, una sola porta d’entrata; i 3 nuclei familiari che abitavano l’appartamento erano in continua lotta tra loro, con litigi quotidiani, urla, minacce e parolacce, con una energia pesante e minacciosa che si abbatteva sui cuori sensibili dei bambini.

Le relazioni tossiche dove i vantaggi personali o di clan familiare venivano conquistati con i soprusi, le ingiustizie, le falsità, le malvagità.

L’impotenza, la remissività, la frustrazione dei  miei genitori incapaci di stabilire un equilibrio familiare e impossibilitati ad accordarsi per una relazione di reciproco rispetto.

Le dinamiche relazionali individuali o di gruppo, evidenziavano squilibri e comportamenti aggressivi; il tutto orchestrato e gestito da un solo componente che, avendo potere su tutti i componenti, adottava azioni manipolatorie affinché ci fosse sempre una energia conflittuale.

Risulta evidente che il bambino Roberto ha assorbito queste energie e dinamiche, modificando il suo essere con il risultato di avere paura del confronto, di non essere adeguato come individuo, di essere impotente nell’agire a difesa degli oppressi (i suoi genitori), di sentire rabbia per gli atti di ingiustizia, di disonestà, di aggressività, di incolparsi per tutto ciò che faceva di sbagliato, di desiderare fuggire da questa realtà, di non manifestare gioia o felicità perché potevano essere punite per qualsiasi ragione.

Quando, per ragioni ancora oggi a me oscure, 2 dei 3 nuclei familiari hanno deciso di abbandonare il territorio, ricordo che, abbattuti i divisori che formavano i confini tra i nuclei, ho potuto ammirare la vastità dell’appartamento, la luce e il senso di pace e tranquillità per me nuovi; la felicità di poter beneficiare di spazi più ampi per giocare e di tempi più lunghi e rilassati.

Ho apprezzato il silenzio, lo scorrere della giornata senza tensioni né conflitti.

Come dicevo, questa esperienza che ha occupato i miei primi 6 anni di vita ha lasciato profonde ferite; purtroppo non solo a me ma anche a mia madre che più di tutti ha subito le ingiustizie, le prevaricazioni e le aggressioni.

Ferite che ogni qualvolta venivano toccate, le reazioni di mia madre erano rabbiose e talvolta abbastanza violente.

Come se la sua rabbia accumulata avesse necessità di sfogarsi per alleviare la sofferenza subita.

La mia educazione era basata sull’obbedienza cieca, con un senso di paura di sbagliare perché c’era il rischio di incontrare punizioni dolorose.

Nasce così il “soldatino Roberto”: rispettoso, solerte nel fare, responsabile per sé e per il fratello minore, timoroso di relazionarsi con i genitori, con i vicini, con i compagni di gioco, con tutti; con una buona dose di disistima che faceva da carburante nelle decisioni, nelle relazioni, nel compiere anche banali e semplici ordini, denotando molto insicurezza.

Con una madre che mi ha insegnato il sacrificio, la sottomissione, eseguire senza discutere gli ordini, con la fede che ogni sacrificio sarebbe stato ricompensato nel Regno dei Cieli; mi ha insegnato che l’amore è dedizione, accontentare laddove si può ogni desiderio di altri al fine di ricevere una gratificazione e forse amore di ritorno.

Un commercio dell’amore: io mi sacrifico perché tu posa amarmi e gratificarmi.

Mio padre cresciuto e istruito in un contesto militare in periodo di guerra, mi ha insegnato a lottare per ottenere, però utilizzando le capacità personali in relazioni di equità, giustizia e onestà.

Non era molto presente, ma la sua dedizione al lavoro per nutrire, educare e prosperare la sua famiglia ha arricchito in me quel senso di responsabilità che fa parte dell’essere maschile.

Il suo metodo educativo era rigido, intriso di ordini che dovevano essere eseguiti pena la diminuzione della fiducia che era stata riposta, pena il confronto con gli altri ragazzi che erano sempre più intelligenti, più furbi, più di successo rispetto a me.

Crescendo in questo ambito è risultato ovvio desiderare di fuggire.

La prima volta avvenne quando desideravo di percorrere la strada formativa per arrivare ad essere un costruttore di navi o imbarcazioni. Infatti l’Istituto tecnico navale era a Genova e l’Università di Ingegneria Navale era sempre a Genova.

Mio padre, nonostante desiderasse assecondare il desiderio che fin da bambino avevo espresso, doveva fare i conti con l’esborso di una vita fuori sede di un ragazzino e di un giovane adulto poi. Purtroppo le sue finanze non lo permettevano.

Decisione avvalorata anche da un giudizio di un Prof che lo avvertì della mia bassa capacità intellettiva nel affrontare studi così specifici; consigliando un istituto tecnico per ragionieri. E così fu.

Durante il primo anno di corso, deluso e demotivato, ho reagito in  modo da farmi bocciare. Risultato? Sono stato investito da una minaccia: “ o studi o vai a lavorare di badile”. Ho eseguito l’ordine-minaccia di studiare.

La seconda volta avvenne quando espressi il desiderio di fuggire all’età di 16 anni dove chiesi di poter essere arruolato nell’Accademia Navale di Livorno desiderando percorre la carriera militare.

Il diniego assunto ebbe una duplice motivazione: “con il tuo carattere un po’ ribelle saresti espulso i primi giorni”; “in famiglia di marinaio ce n’è  uno solo”.

Amareggiato e deluso, soprattutto perché non potevo fuggire, la mia reazione fu quella di criticare in modo esplicito tutto il sistema educativo dei miei genitori e la loro figura stessa, rafforzando così l’etichetta di “ribelle”.

Il ribelle Roberto durò sino al diploma, reagendo ad ogni restrizione, ad ogni limitazione, ad ogni sopruso che provenisse da una persona o dal sistema di allora.

Arrivato a conseguire il tanto sospirato e travagliato diploma, il ribelle Roberto, “arruolandosi” nell’arma finanziaria della società: la banca, ed essendo “fidanzato” con una ragazza conosciuta l’anno prima, maturai l’idea, mai cancellata, di fuggire da casa.

Inconsciamente, la situazione lavorativa, mi permise di concretizzare l’idea di fuggire non senza dimostrare le mie capacità caratteriali e professionali. Sicché iniziai un lento ma inesorabile percorso di “carriera” che mi ha portato a ricoprire incarichi di alta direzione nel corso della mia vita professionale.

In verità l’”ambizione” era la conseguenza di un altro desiderio che era presente in me e rappresentava una ferita emozionale enorme: la mancanza di amore e di gratificazione.

Ebbene, nonostante i successi raggiunti, la gratificazione dei miei genitori non arrivò e quindi non colmò il vuoto.

Per quanto concerne la mancanza di affetto, l’”ambizioso” Roberto pensò di ricercare l’amore nelle donne che hanno accompagnato parte della sua vita; è evidente che per colmare un vuoto così importante, Roberto, si svuotò ulteriormente di energie, indirizzandole nell’attenzione, nella dedizione, nel sacrificio, nell’oscurare se stesso per far brillare l’altra.

A lungo andare, anche quelle energie ebbero fine.

Per ritrovare queste energie profuse, Roberto, il “rabdomante dell’amore”, pensò bene di trovarle in un’altra donna, non considerando che lo schema d’ingaggio era il medesimo.

Dopo anni di prove, incomprensioni, litigi e profondendo tutta l’attenzione sull’”ambizione” e la carriera, l’allarme arrivò con un infarto.

Questo ha permesso una riflessione più approfondita, una rivalutazione della vita e delle relazioni che si sviluppano lungo il percorso.

L’incontro con un personaggio altamente spirituale mi permise di iniziare un percorso introspettivo di lunga durata ma di grande intensità.

Il riconoscere i  miei limiti emozionali, le mie ferite, i miei vuoti e il mio schema mentale, mi permisero di modificare la mia vita, di prendere decisioni anche drastiche, ma necessarie, di approfondire in maniera pragmatica ciò che, con il mio percorso, avevo scoperto, dedicandomi ad altri percorsi di coaching, di comunicazione, di assertività, ecc.

Questa breve storia, ricca di significati e di spunti di riflessione ed analisi, ha il semplice scopo di portare una testimonianza diretta, affinché chi legge possa, in alcuni casi, identificarsi, e in altri casi ritrovare quei limiti e condizionamenti che sono ancora presenti, e comunque apportare una sincera riflessione sul senso della vita e delle relazioni.

Per una serie di esperienze di vita, di corsi formativi, di carriera professionale dedicata alla professione di coaching, oggi posso affermare che i miei percorsi hanno significato per molte persone un miglioramento intimo personale, hanno armonizzato le relazioni e donato alla loro vita un senso di rinnovato benessere ponendosi obiettivi di crescita e di ritrovata felicità.

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